Lo «scudiero dei classici»
Giosue Carducci nasce in Versilia, a Valdicastello di Pietrasanta, il 27 luglio 1835, battezzato col nome di Giosue Alessandro Giuseppe. È il primogenito di Michele, pietrasantino, e di Ildegonda Celli, fiorentina.
Trascorre l'infanzia nella Maremma pisana; nel 1839, infatti, la famiglia va ad abitare a Bolgheri, dove il padre, medico di idee liberali e carbonaro, dopo il fallimento della società mineraria francese presso cui lavorava a Valdicastello, aveva ottenuto una condotta.
Quella di Giosue è un'infanzia vissuta a stretto contatto con un paesaggio scabro e selvatico, ma anche nel segno dello studio. Precoce è infatti la frequentazione dei classici antichi e dei testi italiani, letti con passione nella «librerietta» paterna o amati in virtù degli insegnamenti della madre.
Il soggiorno nella Maremma, rievocato in tanti versi, ha fine nel '49. Il padre, implicato nei moti del '48 e accusato di attività sovversiva, è costretto a trasferirsi a Castagneto, quindi a Laiatico (nel Volterrano), poi a Pisa, per approdare infine a Firenze, dove Giosue compie gli studi ginnasiali presso i padri Scolopi di San Giovannino. Qui legge con entusiasmo, seppure in modo non sistematico, svariati autori. Fra gli antichi coltiva con entusiasmo lo studio di Orazio, Virgilio e Ovidio; dei moderni i prediletti sono Alfieri, Foscolo e Leopardi, mentre palesa da subito la sua ostilità nei confronti del manzonismo. Compone i suoi primi versi e discorsi.
Vinto un concorso di ammissione alla Scuola Normale di Pisa, vi entra come alunno convittore nel 1853. Il 16 giugno 1855 si laurea a pieni voti in filosofia e in filologia con una tesi sulla poesia cavalleresca, conseguendo nel 1856 l'abilitazione all'insegnamento. Agli studi rigorosi si affiancano le prime prove del critico, mentre l'assidua collaborazione con l'educatore fiorentino Pietro Thouar (1809-1861) segna l'esordio del commentatore di testi (antologie) destinati ai giovani e al «popolo».
Nel novembre 1856 Carducci inaugura la sua lunga carriera di docente insegnando retorica nel Ginnasio di San Miniato al Tedesco, dove, con sue parole, spiega «più Virgilio e Orazio, più Tacito e Dante», buttando «fuor di finestra gl'Inni sacri del Manzoni». E proprio in questo clima partecipa con fervore alle animate polemiche fra manzoniani e antimanzoniani, fondando con gli amici Giuseppe Chiarini (1833-1908), Giuseppe Torquato Gargani (1834-1862) e Ottaviano Targioni Tozzetti (1833-1899), la Società degli Amici Pedanti, impegnata nella difesa a oltranza del classicismo e dei maggiori protagonisti della tradizione italiana, maestri di stile e di vita.
Il 23 luglio 1857 viene alla luce, all'insegna di questo programma, a San Miniato, il primo libro del poeta: le Rime dedicate a Giacomo Leopardi e a Pietro Giordani.
Dal 1858, dopo la morte del padre, seguìta alla tragica scomparsa del fratello Dante, suicidatosi nel novembre 1857, lo scrittore è costretto a provvedere, da solo, al sostentamento della madre e del fratello minore Valfredo. Allontanato dal Ginnasio sanminiatese per «condotta immorale e irreligiosa» e trasferitosi a Firenze, si dedica a un'intensa attività editoriale, curando l'edizione di classici nella collana Diamante di Gaspero Barbèra, di cui assume la direzione.
Il 7 marzo 1859 sposa la fiorentina Elvira Menicucci, da cui avrà cinque figli (Beatrice, Laura, Francesco, Dante, Libertà). Nel dicembre, caduto il governo granducale, Giosue riprende a insegnare latino e greco, poi italiano, al Liceo Forteguerri di Pistoia. Plaude agli eventi della seconda guerra di indipendenza in versi che, celebrando le vittorie e l'eroismo dei soldati, gli procurarono ben presto la fama di cantore politico e civile.