Carducci e l'identità nazionale
La rassegna espositiva illustra, per campioni significativi, come nell'ultimo ventennio dell'Ottocento l'attività poetica, saggistica e didattica di Giosue Carducci sia tutta protesa all'accertamento e alla celebrazione di alcuni «miti identitari» nell'ambito di un progetto educativo globale della nazione fondato sugli studi classici.
Muovendo dall'opera di Enotrio Romano, portavoce, in alcuni Giambi ed epodi, dell'opposizione repubblicana e anticlericale, il percorso approda, passando attraverso gli operosi anni Settanta, a un Carducci sempre più saldamente impegnato, dopo la soluzione della questione romana, nella costruzione dell'unità morale, civile, culturale, ideale della nazione.
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La stagione di Enotrio Romano
Vivere e operare a Bologna, nel rinnovato Ateneo grazie all’«Italia e l’unità», significa per Carducci non solo l’avvio di un intenso lavoro letterario, ma anche l’aprirsi a nuove idee politiche.
L’incontro con il pensiero di Mazzini e la lettura degli storici francesi di orientamento repubblicano (Proudhon, Quinet, Michelet) insieme all’acuta delusione nei confronti dell’azione politica della classe dirigente (i governi della Destra) della neonata nazione incapace di dare compimento al processo di unificazione (ancora aperte le questioni di Roma e Venezia) e pure indifferente verso i gravi problemi che affliggono la società italiana, sollecitano nello scrittore atteggiamenti dichiaratamente antigovernativi, antimonarchici ed anticlericali. Per l’azione svolta in seno al direttivo dell’Unione democratica bolognese, dove stringe amicizia con alcuni colleghi radicali militanti (Giuseppe Ceneri, insegnante di diritto romano, il chimico Pietro Piazza e il penalista Pietro Ellero) e per la partecipazione a manifestazioni filo-mazziniane, Carducci viene sottoposto a diversi procedimenti disciplinari. Il più grave è quello che lo colpisce nel marzo 1869, quando, dopo aver commemorato con Ceneri e Piazza, l’anniversario della Repubblica Romana (1849) formulando un augurio a Mazzini, è sospeso dall’insegnamento e dallo stipendio per oltre due mesi.
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Lo studio della tradizione patria
L'incontro a Bologna con giovani intellettuali capaci di stimolare lo Studio a un confronto costruttivo con la cultura scientifica e letteraria italiana ed europea significa per Carducci l'avvio di una vivace attività di ricerca storica e critica secondo i principi del cosiddetto metodo storico.
L'indagine è tutta orientata a ricostruire il percorso della tradizione nostra, attraverso lo studio dei documenti dei «grandi padri»: Dante, Petrarca e Boccaccio. Ne è prova l'analisi delle rime dantesche confluita in «Dante e il suo secolo» (1865) nel corso delle celebrazioni del VI centenario della nascita di Dante a Firenze, allora capitale, nel quale lo scrittore tiene il discorso «De' principi informatori dell'antica letteratura italiana», ampiamente rivisitato nei saggi «Dello svolgimento della letteratura nazionale» (1868-71), dove accerta nella letteratura dei primi secoli i «prodromi del risorgimento nazionale» e ricercando quale sia l'«elemento "schiettamente" nazionale» che ha prodotto nel nostro paese una cultura autoctona, lo individua nel popolo, che, erede della latinità romana, rappresenta il «glutine» della nuova Italia, origine delle espressioni artistiche più originali. Ma l'attenzione per l'opera dei padri della nostra letteratura, come documentano le prime lezioni, di cui si conservano gli appunti, è pure costante nell'attività del professore alla Facoltà filologica. Sono dell'aprile 1861 i commenti ad alcuni canti scelti della «Commedia». E, durante una supplenza lampo di letteratura al Liceo Galvani, nella prima metà del gennaio 1865, spiega «del "Paradiso" alla terza classe».
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La funzione unitaria della monarchia
Il crescente rilievo conquistato a livello nazionale dal poeta e dallo studioso coincide con il progressivo distacco di Carducci dall'area democratico-repubblicana.
L'ode «Alla regina d'Italia», composta di getto nel novembre 1878, dopo l'incontro con i giovani sovrani Umberto I di Savoia e Margherita in visita ufficiale a Bologna (sarà edita in volume nelle «Nuove odi barbare», 1882), suscita un coro di vivaci polemiche fra i democratici che parlano subito di un clamoroso tradimento degli ideali repubblicani. La prima voce a levarsi, sulle pagine della «Rivista repubblicana» (30 novembre 1878), è quella del mazziniano Arcangelo Ghisleri (1855-1938) che accusa Carducci di essersi unito al «monito di chi plaude ai potenti» scrivendo un'ode affatto «mediocre» e che è un «atto di debolezza». Ma che non si tratti di una conversione subitanea, è dato ormai risaputo. E tutti i critici concordano nell'affermare come quell'atto di omaggio abbia radici nel passato, segnando il momento decisivo di una riflessione che portò lo scrittore, all'indomani della soluzione della questione romana, dopo il 1870, ad assumere gradualmente posizioni più tolleranti verso il governo e la casa regnante, istituti di cui egli intende comprendere le ragioni storiche.
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Carducci e l'identità italiana
«Tornate, o giovani, alla scienza e alla conoscenza de' padri, e riponetevi in cuore quello che fu il sentimento il voto il proposito di quei vecchi grandi che han fatto la patria: L'Italia avanti tutto! L'Italia sopra tutto!».
Così Carducci ammoniva nel discorso «Per il tricolore» (1897) pronunciato a Reggio Emilia, nel primo anniversario (1° gennaio) della scelta di quella bandiera a vessillo della Repubblica Cispadana, quando, già da tempo, per amore della patria, egli aveva fatto suo, con particolare fervore, l'impegno di favorire la crescita di quel clima di coesione nazionale essenziale al consolidamento della fragile unità politica raggiunta dopo il 1870. L'obiettivo principale diviene dunque quello di educare il popolo italiano a 'riconoscersi' tale, andando fiero della propria identità nazionale.
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Il libro della patria
Negli operosi anni Novanta il senatore del Regno Carducci, ormai ligio alla "politica forte" di Francesco Crispi, è animato da interessi storiografici per alcuni «italiani moderni».
Dalla premessa all'opera «Come siamo entrati in Roma» (Treves, 1895), ricordi di Ugo Pesci fino all'introduzione agli «Scritti politici» dell'amico Alberto Mario (Zanichelli, 1901), attraverso contributi rimasti solo allo stato progettuale, di cui non mancano indizi sicuri nell'archivio dell'istituto. Fra questi il tentativo di ricostruire gli eventi «memorabili» del 1848-1849, disegno peraltro che si inframmette continuamente all'allestimento dell'antologia «Letture del Risorgimento italiano (1749-1870)», edita in due tomi da Zanichelli fra il 1895 e il 1896 e indirizzata principalmente alle scuole superiori.